Accessibilità dei siti web: obblighi legali e soluzioni tecniche per essere conformi alla normativa italiana
Negli ultimi anni, il tema dell’accessibilità digitale è diventato centrale nel panorama normativo europeo e italiano. L’accessibilità non è più un’opzione, ma un obbligo per molti soggetti, e rappresenta una grande opportunità per tutti coloro che desiderano rendere il proprio sito web realmente fruibile da chiunque, indipendentemente da disabilità o limitazioni tecnologiche.
Chi è obbligato per legge ad adeguare il proprio sito?
La normativa italiana sull’accessibilità digitale è principalmente regolata da:
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Legge Stanca (Legge 4/2004) e successive modifiche,
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Direttiva UE 2016/2102, recepita in Italia con il D.lgs. 106/2018,
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Linee guida AgID sull’accessibilità dei servizi digitali.
L’obbligo di accessibilità riguarda attualmente:
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Pubbliche Amministrazioni (comuni, scuole, università, ASL, ministeri, ecc.),
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Società partecipate o controllate da enti pubblici, anche in quota minoritaria,
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Enti pubblici economici,
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Fornitori di servizi pubblici essenziali (es. trasporto pubblico, energia, acqua),
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Organizzazioni del Terzo Settore che ricevono finanziamenti pubblici,
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Scuole paritarie.
Tuttavia, dal 28 giugno 2025, l’obbligo verrà esteso a molte aziende private grazie al recepimento dell’European Accessibility Act (EAA), che prevede l’obbligo di accessibilità per prodotti e servizi digitali, incluse piattaforme e-commerce, app mobili e software. In Italia, questo impatto riguarderà tutte le imprese che superano una certa soglia di fatturato o di dipendenti, ma anche tante PMI che vogliono evitare sanzioni o contenziosi legali.
Cosa significa “accessibile” in termini pratici?
Un sito è accessibile quando può essere navigato e compreso da chiunque, inclusi:
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Persone non vedenti (che usano screen reader),
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Utenti con disabilità motorie (che usano solo tastiera o dispositivi alternativi),
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Utenti con dislessia o difficoltà cognitive,
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Persone con problemi di udito (nei contenuti video/audio).
Gli standard internazionali di riferimento sono le WCAG (Web Content Accessibility Guidelines) attualmente nella versione 2.1, con tre livelli di conformità: A (base), AA (intermedio), AAA (avanzato). La legge italiana richiede almeno la conformità al livello AA.
Come si verifica e si migliora l’accessibilità di un sito?
L’audit di accessibilità di un sito web si sviluppa in tre fasi:
1. Analisi tecnica del sito
Viene effettuato un controllo approfondito sul codice, sulle strutture HTML, sulla semantica, e sui comportamenti dinamici (JavaScript, elementi interattivi, popup, ecc.). Tra gli strumenti usati ci sono:
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Validatori automatici (es. WAVE, Axe, Lighthouse),
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Analisi manuale tramite screen reader (es. NVDA, VoiceOver),
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Test di navigazione da tastiera.
2. Identificazione delle criticità
Tra i problemi più frequenti troviamo:
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Mancanza di alternative testuali per immagini e video,
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Contrasti cromatici inadeguati (es. testo grigio su sfondo chiaro),
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Etichette mancanti nei form,
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Uso scorretto degli heading (H1, H2, ecc.),
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Elementi interattivi (menu, bottoni, modali) non accessibili via tastiera,
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Documenti PDF non leggibili da screen reader,
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Nessuna indicazione di stato attivo o focus visivo.
3. Interventi di adeguamento
Dopo la mappatura dei problemi, si procede all’adeguamento, che può includere:
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Revisione del codice HTML/CSS con strutture semantiche corrette,
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Integrazione di aria-labels e attributi per screen reader,
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Miglioramento dei colori e dei contrasti per le aree testuali e interattive,
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Riscrittura dei testi per migliorarne la leggibilità,
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Inserimento di sottotitoli e trascrizioni nei contenuti multimediali,
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Aggiunta di un “dichiarazione di accessibilità” obbligatoria per legge nei siti delle PA e raccomandata anche per i privati.
Le sanzioni per chi non è conforme
Nel caso di pubbliche amministrazioni, la mancata conformità può portare a sanzioni pecuniarie, all’intervento diretto da parte dell’AgID, e alla perdita di finanziamenti pubblici.
Per le aziende private, specialmente dopo l’entrata in vigore dell’EAA, si rischiano azioni legali da parte di utenti e multe fino a 40.000 euro a seconda dei casi, oltre a un grave danno reputazionale.
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